lunedì 20 dicembre 2010

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.


IL COMMENTO


Nulla è impossibile a Dio. E nulla possiamo fare senza di Lui. O tutto o nulla, non vi sono alternative. Per questo sentiamo lacerarsi il cuore, la mente, la vita. Vorremmo avere tutto e possediamo nulla. Il vuoto ci preme nel petto, la frustrazione sbiadisce le nostre ore, anche le gioie più limpide si portano dietro un retrogusto amaro d'insoddisfazione. I nostri giorni giungono alla sera come limoni spremuti, e non c'è più neanche una goccia da tirar fuori. Come il grembo di una donna sterile, ghigno crudele della natura che sfregia il santuario stesso della vita. Il grembo di Elisabetta, il nulla secondo le stesse parole di Gesù. Il nulla di Maria. Il nostro nulla. Ne facciamo esperienza nelle amicizie, nei rapporti coniugali, nello studio e nel lavoro. Ritorna, prepotente, a spargere veleno di morte e ne restiamo immancabilmente intrappolati.
Giacomo Leopardi, nella poesia "A se stesso", riassume con versi ineguagliabili ciò che Quelet aveva lapidariamente affermato: Tutto è vanità.

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Ormai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera
E l'infinita vanità del tutto

Un frammento latino del I Secolo recita: «In nihil ab nihilo quam cito recidimus», "Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo" (Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. VI, n. 26003).

Ma il nulla esiste perché esiste il tutto, la possibilità di una pienezza capace di saziare, di dare senso, di donare felicità. Dal testo biblico della Creazione scopriamo che il tutto è l'amore. Si tratta dell'amore incontenibile di Dio che si è compiuto nel creare. Dio ha voluto colmare il nulla, e dal nulla ha creato l'universo e l'uomo. Ciascuno di noi è frutto dell'inarrestabile volontà d'amore di Dio. Dio creando ha separato il nulla dal tutto, la notte dal giorno, il mare dalla terra ferma. Ha conferito un ordine al mondo e questo ordine è il segno dell'amore. Dove Dio è presente brilla la luce, fiorisce la vita, esplode l'amore. Dove Dio è assente le tenebre avvolgono il nulla e la gelida solitudine del non amore. In ogni nostra cellula è inscritto lo stesso amore nel quale siamo stati creati, la stessa inquietudine divina, come un fiume in piena che deve, necessariamente, irrompere e riversarsi in qualche spazio.

Anche il seno di una donna che ne orienta i pensieri, ne regola i tempi, è creato per dare la vita, nell'attesa di accoglierla per gestarla e consegnarla al mondo. E' una traccia, forse la più limpida, dell'ordine di amore insito nella creazione. In essa non vi è veleno di morte avendo Dio creato tutto per esistere, e le sue opere sono perfette. Ma il peccato ha ferito la creazione, raggiungendo e deturpando il bello, il vero, il buono. Le malattie, i terremoti, le anomalie della natura ne sono il tragico segno. Il peccato si è insinuato anche alla fonte della vita, nel seno di una donna. La sterilità era considerata in Israele una maledizione, il segno che Dio aveva abbandonato quella donna. La Scrittura è piena di pagine al riguardo. Per questo Dio, nel suo infinito amore, ha scelto la sterilità per cominciare e ricominciare la sua ostinata storia di salvezza. Da Sara sino ad Elisabetta. L'amore del Creatore indomito dinnanzi allo sfregio del peccato è sceso sempre al fondo dell'abisso del nulla, realizzando l'impossibile di trasformare quel nulla in un tutto fecondo di vita.

Questo è il cuore dell'annuncio a Maria. In Lei sarebbe apparsa la Vita che non muore; l'amore di Dio si sarebbe fatto carne per recare alla carne precipitata nel nulla la Grazia del perdono, del riscatto e del tutto capace di farla santa e capace di vita eterna. Elisabetta sua parente ne è il segno, a Dio nulla è impossibile. Lo steso annuncio risuona oggi per noi. No è impossibile a Dio scendere anche nel nostro nulla di oggi, nell'angoscia più cupa, nel dubbio che scuote lo spirito, nella sterilità di relazioni vane e ipocrite, incatenate ai compromessi. Non è impossibile a Dio trasformare il nostro nulla in una pienezza di amore e di gioia, schiudere il il nostro seno sterile e farne un santuario di vita. Senza di Lui tutto è vano, nulla possiamo pensare e fare. Con Lui tutto è possibile, soprattutto quanto oggi ci appare impossibile.

Come non rallegrarci, come non desiderare il suo avvento nella nostra vita, come non cercarlo, invocarlo, supplicarlo?




martedì 23 novembre 2010

Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario

Lc 21,5-11

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”.
Gli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?”.
Rispose: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io’’ e: ‘‘Il tempo è prossimo’’; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”.
Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”.


IL COMMENTO

Ci stiamo avviando ormai al tempo di Avvento ed il Vangelo oggi ci parla del discernimento. Ciò che distingue i cristiani è avere discrnimento, ovvero uno sguardo celeste sul mondo. Saper leggere i segni dei tempi e non restare imbrigliati nei fatti della storia, sia quella che andrà a finire nei libri, sia quella che invece resterà per sempre racchiusa nel perimetro della nostra semplice e "apparentemente" marginale esistenza. Non lasciarsi inghiottire dal fluire spesso burrascoso degli eventi lasciando che la "vulgata" popolare, il "pensiero unico dominante" ci imbavagli mente, occhi e cuore imponendoci le "ovvie" e assolutamente "corrette" conclusioni e interpretazioni. Anche qui, sia per la storia che irrompe nei telegiornali, sia per quella che forse solo noi registriamo nel giornale segreto della nostra memoria.

Vi è una chiave che "apre" all'intelligenza delle cose, ed è lo Spirito Santo. E' lo Spirito che attesta a San Paolo che in ogni città lo attendono le catene, la sofferenza e infine il martirio. E' lo stesso Spirito che illumina il Signore sul Suo cammino, che lo dirige e lo educa a poco a poco nella coscienza che c'è un "dover" andare a Gerusalemme, un "dover" essere riprovato, tradito e condannato. E' lo Spirito che sigilla nel cuore e nella mente del Signore la certezza dell'importanza assoluta e decisiva della Croce che lo attende, della tomba già preparata. Ed è lo Spirito che attesta al cuore di Gesù e della Vergine Maria l'unicità della Risurrezione, che nessuno capirà sino a che non ne sarà coinvolto personalmente per mezzo dello stesso Spirito.

Vi è come una linea di "dovere" nella vita del Signore, come nella storia di ciascun uomo, di ciascun popolo. Ed essa corre diritta verso la Croce e la Risurrezione, perchè la storia reca in sé il seme del Mistero Pasquale del Signore. Satana non la pensa così, non ha il "pensiero" di Cristo, lo Spirito di Dio: Anche se a parlare e a sbraitare contro la Croce è Pietro: a lui Gesù griderà di retrocedere e di porsi alla sua sequela piuttosto di tentare di guidarne il cammino, perchè ogni pensiero contrario alla Croce è di satana. Ed è un criterio fondamentale in me, come dentro i grandi eventi del mondo. Questa è la chiave, l'unica, capace di svelare il mistero della storia. In Irak come in Italia, in Giappone come in Spagna, nel mio ufficio, nella mia famiglia, nel mio intimo: la Croce gloriosa dell Signore.

Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste. In ogni evento, in ogni persona è inscritto il Mistero Pasquale del Signore, perchè tutto è stato creato in Lui e per mezzo di Lui, e nulla sussiste se non in Lui. Rinunciare a Lui, allontanarsi dal Signore, è condannarsi alla totale cecità, a non vedere, non capire nulla della storia e delle persone. Con le conseguenze più drammatiche.

Ma il Signore anche oggi passa nella nostra vita, Lui il vero Tempio già ricostruito che cerca ciascuno di noi, anche nella nostra cecità per ridonarci la vista e con essa la vita. La vita in Lui dentro la storia di ogni giorno. La certezza che, come diceva San Francesco, è "morendo che si resuscita a vita nuova", con uno sguardo pieno di benedizione sul passato, di stupore sul presente, di speranza sul futuro. "Deve" morire il chicco per non restar solo, "devono" accadere tanti fatti "crocifissi" nella nostra vita, ma la speranza non delude, perchè il Suo amore è stato riversato nei nostri cuori.


giovedì 18 novembre 2010

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 19,41-44.

Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.
Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte;
abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».




IL COMMENTO


C'è una via della pace. Un cammino. Quando ancora non era che un pugno di uomini folgorati dagli occhi di Gesù e dalla predicazione dei Suoi apostoli, il cristianesimo era chiamato semplicemente "la via". La via della pace appunto. La via del Messia che aveva portato la pace, dono messianico per eccellenza. Gesù risorto apparendo ai discepoli tramortiti di paura e di stupore socchiude le labbra per annunciare, semplicemente, "Pace a voi". Un po' di pace cerca il nostro cuore, e la nostra povera esistenza. Non è così?

La pace è un cammino, una via che attraversa il mare che ci separa dalla libertà, l'ambiguo cumulo di acque che ogni giorno seppellisce i nostri propositi, le intenzioni, i desideri. La pace è un cammino che percorre le tracce del Signore fin dentro la morte, per uscirne vittoriosi. Lui e noi. Ogni giorno. Anche oggi è il tempo, il kairos della Sua visita. Anche oggi il Signore indossa le sembianze del marito, della moglie, dei figli, dei colleghi, e viene a visitarci. Con amore immenso, con le lacrime di tenerezza e di misericordia. Anche oggi, in mille circostanze Gesù scende alla nostra vita, lì dove siamo, quasi implorando d'essere accolto.

Le rovine della nostra esistenza, i fumi delle distruzioni che ancora abbiamo negli occhi, le conseguenze funeste delle nostre decisioni lontane da Lui, i nemici, i peccati che hanno ferito i nostri sentimenti sino a paralizzarci. I nostri dolori lo hanno commosso, straziato, ed ora eccolo qui, Lui il Re dei re, il Signore dei signori, che potrebbe essere adirato e potrebbe lasciar sfogo alla Sua ira, e invece eccolo qui alla nostra porta, con le lacrime a segnargli il volto di un riga di dolcezza: "Ti amo, lo sai? Non ti rimprovero, sono qui per te. Pace a te, non aver paura". Spalanchiamo le porte a Cristo allora. Oggi. Accogliamo il Principe della Pace, vittorioso sullla morte e il peccato, che viene a noi per condurci, amorevolmente, per il cammino della pace.

Nella nostra vita senza timore, percorrendo, con Lui, il cammino della conversione, cioè della pace che sgorga dal perdono, sino alle porte del Regno di pace, la Gerusalemme celeste sposa del Signore, senza macchia ne ruga, il nostro destino preparato dall'amore del Padre.

venerdì 12 novembre 2010

Venerdì della XXXII settimana del Tempo Ordinario

Lc 17,26-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti.
Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà.
In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.
Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà.
Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”.
Allora i discepoli gli chiesero: “Dove, Signore?”. Ed egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi”.




IL COMMENTO


Fa venire i brividi la serietà con la quale vien presa la vita nel Vangelo. E quanta superficialità trasudi dalle pagine dei giornali e dalle nostre vuote chiacchiere che risuonano il vuoto angosciante dei nostri cuori e delle nostre coscienze. Mette i brividi scorrere le pagine d'un qualsiasi giornale, accendere anche solo un secondo la tv, sedersi ad un qualche muretto popolato di "nuovi barboni imberbi" accompagnati da sbiadite fanciulle acconciate in costumi quasi adamitici. Senza giudizio per carità. Si tratta semplicemente di flash d'una realtà che si impone allo sguardo anche più frettoloso. E, peggio, se si approfondisce un po'....

Ma la superficialità costituisce la maggior parte della topografia delle nostre anime. Per questo il Vangelo è terribilmente serio. Senza vie di fuga. I nostri giorni, e le cose con le quali li riempiamo, e quelle che ci son date per darne un senso, sono tutte, indistintamente, le tavole con le quali ci trastulliamo a fare surf sulla vita. E' triste, ma è così. Tutto scivola, non inganniamoci, anche quando sembrano serie le cose, importanti gli impegni, oneste le faccende. Ma dov'è il nostro cuore?

Un fatto, è sufficiente un piccolo fatto che sconvolga la nostra tranquillità, un'onda anomala a farci precipitare tra le correnti incontrollabili che ci trascinano lontano dall'approdo. E ci sentiamo persi, depressi, e affiorano i più profondi sensi di giustizia violata senza motivo. Il nostro cuore. Dove ha messo le radici? Sulla sabbia o sulla roccia? Il dramma della vita, con la sua serietà, è tutto in questa questione. In fondo la certezza della precarietà della vita alberga il cuore di tutti. E' l'atteggiamento di fronte ad essa che decide la nostra esistenza. Carpe diem, cogliere tutto senza discernimento, perchè tutto scivola e sfugge, sino a fare indigestione di esperienze e arrivare a trent'anni esausti e senza più alcun interesse. Bruciare amori e sesso nella prima adolescenza per restare senza speranze a vent'anni. Oppure prendere di peso la fugacità della vita e abbandonarsi alla Volontà di Dio, al suo amore che provvede ogni giorno la manna di cui abbiamo bisogno. Perdere la vita compiendo la sua volontà per sperimentare che, nella precarietà, esiste un sentiero di certezze granitiche, un senso che si manifesta ogni giorno di più come luce nelle tenebre della paura. Imparare a soffrire, a digiunare, a tacere. Non gettare cuore e mente al miglior offerente del giorno, ma custodire se stessi donandosi a Cristo perhè Lui ci doni agli altri in un autentico amore gratuito.

Le fondamenta nella sabbia disseminano cadaveri, vite spente, pensieri narcotizzati; parodie di persone dove gli avvoltoi di questo mondo, medici-psicologi-avvocati, falsi amici, profeti di menzogne, dispensatori di droghe, alcool e narcotici vari si radunano in attesa della triste spartizione. Ma è per noi la Roccia, Gesù Cristo e il Suo amore infinito, la certezza che non passa, la moda giusta per il nostro cuore, inconfondibile e incorruttibile. Indossare il Suo amore e attendere, ogni istante, d'essere preso da Lui per entrare, ogni istante, in una meravigliosa avventura d'amore. Qualunque sia, dovunque sia.

martedì 2 novembre 2010

Peter Hammill - This Side Of The Looking Glass

Lc 14,25-33

In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace.
Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.


COMMENTO

Che cosa realmente desidera il mio cuore? E' in questa semplice domanda il punto centrale d'ogni questione della nostra vita. Essere discepolo del Signore? Oppure no? Perchè tutto quello che rende possibile qualsiasi cosa "umana", lavoro, famiglia, beni economici di vario tipo, rende parimenti impossibile essere discepoli del Signore. E' "strano", ma è così. Ma se vi è una chiamata alla sequela di Cristo, ad essere Suo, si comprende come ogni diaframma tra me e Lui è d'inciampo, rende letteralmente impossibile seguirlo. Fosse anche la propria vita. Esattamente come qualsiasi cosa si frapponga tra marito e moglie, per esempio i profilattici, rende impossibile l'unione completa e definitiva dei due in una sola carne. E noi, di "profilattici spirituali" ne facciamo un uso sfrenato. Con il risultato d'essere schiavi di noi stessi e incapaci di seguire Lui. Ma tu ed io desideriamo essere felici davvero? Se si, allora il nostro cuore desidera Lui, come Lui desidera noi. Lui ha odiato qualsiasi cosa per amare noi. Anche la dignità di Figlio, la Sua stessa natura, sino a farsi peccato, nudo e disprezzato su una Croce. Per questo ogni evento della nostra vita che recide i diaframmi che ci impediscono d'essere suoi discepoli, sono gli Sms d'amore del Signore per noi. E' Lui che ci sta facendo liberi. Per Lui. Ci sta insegnando a rinunciare alle schiavitù per farci liberi e felici in Lui.


Dal Vangelo secondo Luca 14,1.7-11

Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e la gente stava ad osservarlo. Gesù, vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.
Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti.
Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.



IL COMMENTO

C'è un modo particolare e del tutto personale di mettersi al primo posto. E' quello che ciascuno di noi, per carattere, vicende della vita e quant'altro, escogita per sé stesso. Per essere primo, per trapassare il cuore dell'altro ed essere amato, ricordato, considerato, usiamo quel che abbiamo, peschiamo nelle nostre capacità, raschiamo il barile e ci giochiamo le carte: chi la simpatia, chi la cultura, chi il fascino della bellezza, chi il corpo, chi il molto parlare, chi il silenzio; ognuno con il proprio marchio di fabbrica. Anche le pseudo-umiltà grasse d'orgoglio ne sono chiari esempi.

Come il figlio prodigo, ci prendiamo la parte di eredità che ci spetta, le Grazie ricevute e che ci caratterizzano e ci costituiscono per quell'irripetibile creatura che siamo, e scappiamo rincorrendo un sogno, un'illusione, una menzogna. E, seguendo la carne e i suoi desideri, sperperiamo tutto, le Grazie che Dio aveva preparato per noi e per la missione speciale alla quale, venendo all'esistenza, siamo stati chiamati. Ricevute in dono per metterle al servizio della giustizia, dell'amore e della testimonianza, abbiamo sottoposto le nostre membra e tutte le nostre caratteristiche e qualità al servizio dell'egoismo, della carne e del peccato. e ci siamo ritrovati, ci ritroviamo ogni giorno, come il figlio rodigo, all'ultimo posto, a cercare di cibarci delle bacche destinate ai porci, senza neanche trovare chi sia disposto a darcene un po'. Dopo aver dilapidato tutto per afferrare il primo posto, e con esso stima e affetto e qualcosa per sfuggire la solitudine e la paura, ci ritroviamo ancora più soli, senza nessuno che sia disposto a darci anche solo un tozzo di pane, un pezzetto minuscolo del proprio tempo e del proprio cuore. La scalata al primo posto ci ha precipitati all'ultimo posto, come Lucifero: "Negli inferi è precipitato il tuo fasto, la musica delle tue arpe; sotto di te v'è uno strato di marciume, tua coltre sono i vermi. Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all'Altissimo.E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!" (Is. 13, 11-15).

Per questo il mettersi all'ultimo posto di cui ci parla il Vangelo di oggi scaturisce da una semplice consapevolezza. Guardarsi le mani, abbassarsi sul proprio cuore, rivedere i pensieri e riconoscersi senza alcun merito. Senza alcun diritto, per nulla e nei confronti di nessuno. E' il "naturale" atteggiamento del figlio che ha dilapidato ogni sostanza e si ritrova al fondo dell'abisso, l'ultimo luogo in cui avrebbe voluto vivere, quello dove la superbia lo ha precipitato. L'ultimo posto, il posto impuro, quello dei porci, animale impuro per eccellenza. L'ultimo posto, dove è impossible il culto, l'offerta, il dono della propria vita, il posto dove è impossibile amare gratuitamente. Il nostro posto, quello vero, quello che sperimentiamo ogni giorno. E dove possiamo, rientrare in noi stessi e nella verità. L'ultimo posto è dove, per la pura misericordia di Dio, si manifesta la nostalgia della casa del Padre, dell'intimità del suo amore, del posto dove le nostre sostanze, doni ricevuti che ci fanno quel che siamo, sono a servizio della Verità e della giustizia, della sua volontà. E così si innesca la conversione, si riaccende il santo desiderio di quanto perduto e solo assaporato.

Santa umiltà, santa verità. Seduti al proprio posto, quello che ci spetta, l'ultimo, ci raggiunge, gratuito e del tutto inaspettato, l'amore di Dio, la Sua misericordia. Lì, all'ultimo posto, quello dei peccatori, si è seduto Cristo, si son seduti gli Apostoli, la Ciesa intera è al'ultimo posto del mondo, per raccogliere il dolore, la nostalgia e la solitudine di ogni uomo precipitato al'inferno per l'inganno del demonio. All'ultimo posto, quello che oggi ci fa soffrire, ci raggiunge lo sguardo del PAdre, la sua tenerezza e la sua gelosia, il suo perdono. Oggi, nella verità che è l'umiltà, il Pdre corso al nostro incontro, ci abraccia e ci sussurra le parole più dolci: amico vieni più avanti, quì vicino a me, al tuo posto, quello che ho preparato da sempre per te. Anche oggi siamo sollevati dall'immondizia e fatti sedere tra i principi. Questo è il destino degli umili, di quelli che vivono nella verità, la propria povera realtà, il vuoto scavato nel nostro intimo, l'ultimo posto scelto dal Signore per entrarvi, sedervicisi, e colmarlo del suo amore; Lui con noi all'ultimo posto per farci sedere alla destra del adre, nel Cielo della gioia e della pienezza autentiche, il primo posto conquistato dalla sua risurrezione.